lunedì 3 dicembre 2012

Introduzione alla controversia


La nutrizione e la dieta sono oramai considerati come elementi di riflessione, spesso di preoccupazione, fino a diventare fondamenti di stili di vita differenti. Al giorno d’oggi infatti non esiste più il problema della carenza dei nutrienti, il benessere di cui godiamo ci permette di poter scegliere fra una varietà enorme di alimenti. Si sono però rivelati problemi di altro tipo strettamente connessi con il tipo di dieta che scegliamo, il cibo non è più insufficiente, il cibo è spesso eccessivo, il cibo va calcolato e misurato, va sfruttato nella sua varietà disponibile secondo certe modalità. Perché questo? Perché il cibo può creare malattie, ed allo stesso tempo prevenirle,perché oramai mangiare è una cura quotidiana che applichiamo al nostro corpo e, per questo, va preparata e calcolata onde evitare di dare la medicina sbagliata al nostro organismo. Vista l’importanza e l’attualità della questione nutrizionale, si è voluto presentare questo confronto fra varie autorevoli fonti d’informazione la cui parte centrale riguarda la possibile nocività della carne, del pesce, del latte e derivati e delle uova per il nostro organismo. Il nostro interesse è però volto verso i primi due elementi sopra-citati ed in particolare verso la carne e si sviluppa principalmente attorno due domande. Il consumo di carne animale fa male al nostro organismo? La carne è sostituibile, dal punto di vista nutrizionale, nella nostra dieta?
Iniziamo dalla seconda domanda riguardo alla quale sorgono divergenze spesso totalmente antitetiche. 

Perché il consumo di carne è importante per l’organismo umano


Un documento proveniente da  Arsia Toscana , Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione del settore Agricolo forestale, mostra come, nonostante siano in molti gli studi che considerano la carne  dannosa per la salute dell’uomo ed in particolare che la ritengano causa di malattie cardiovascolari e tumorali, a portare un po’ di ottimismo sul consumo di carne siano arrivati gli studi più recenti.  La carne infatti, viene considerata una fonte importante di acido folico, che sempre più si sta dimostrando efficace nell’ inibire altri fattori di rischio di malattie cardiovascolari, tra cui il livello ematico di omocisteina, oltre a proteggere il feto da malformazioni e danni neurologici. In più è capace di controbilanciare il rischio di tumore alla mammella causato dal consumo di alcool. E’ fonte di vitamina A, selenio e zinco, che svolgono un’azione antiossidante che protegge da alcuni tumori, come ad esempio quello alla prostata, anche se alcuni studi ritengono l’esatto contrario. Però non c’è nulla di strano in questo : la contraddizione è parte della normalità negli studi nutrizionali. Ma la novità degli studi nutrizionali nella rivalutazione del ruolo della carne nell’alimentazione umana sta nell’evidenza del ruolo biologico di composti chimici identificati da recenti, chiamati CLA (isomeri coniugati dell’acido linoleico). Queste sostanze in laboratorio si sono dimostrate anticancerogene, e probabilmente svolgono un ruolo protettivo per i danni dell’apparato vascolare, mancano però conferme da studi sperimentali nell’uomo. Vediamo quindi, come vi sia una rivalutazione anche dei fattori benefici della carne, dopo decenni di ostracismo da parte dei nutrizionisti, preoccupati “dell’abbuffata” di carne degli italiani iniziata negli anni’ 60 e proseguita in crescita per tutti gli anni ’70 e ’80.
Rendiamo noto che l’ARSIA è stata soppressa nel 2010, ora le attività di progetto sono passate sotto la diretta responsabilità della Regione Toscana.
Passiamo ora alle testimonianze di esperti che rilevano i fattori benefici della carne. La prima testimonianza è della dottoressa Franca Marangoni, laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche e responsabile del progetto di ricerca NFI (Nutrition Foundation of Italy). La dott.ssa spiega che la carne contiene il 20%  di proteine di buona qualità nutrizionale, e che è un’importante fonte di vitamine del gruppo B, ferro e zinco. Le proteine (macromolecole formate da catene di 20 aminoacidi, 9 dei quali essenziali) sono fondamentali per la crescita, il mantenimento e i processi di riparazione dei tessuti. Inoltre si è constatato che in soggetti obesi o in sovrappeso, che avevano seguito una dieta ipocalorica  per 4 settimane, l’aggiunta di 30g di proteine al giorno ha ridotto “la ripresa di peso” nei 3 mesi  successivi del 50%. Quindi gli effetti metabolici dell’aumento del consumo di proteine sono favorevoli o neutri, poiché esse  agiscono sui meccanismi di sazietà e aumentano il dispendio energetico associato al pasto. La carne inoltre, contiene anche grassi in quantità variabili che forniscono nutrienti essenziali, quali acidi grassi e vitamine liposolubili. Tornando al ferro, questo è il costituente fondamentale dell’emoglobina, responsabile del trasporto dell’ossigeno nei tessuti, e una sua carenza è la causa principale dell’anemia. Il suo fabbisogno per le donne in età fertile è maggiore rispetto a quello degli uomini.
In sostanza possiamo quindi trarre le seguenti conclusioni : 1) considerare la carne, in particolare quella bovina, un alimento importante in quanto fonte di nutrienti essenziali ; 2) le proteine contribuiscono al controllo del peso; 3) il consumo di carne, nell’ambito di un’alimentazione varia ed equilibrata, associato ad uno stile di vita attivo, rappresenta una strategia utile per migliorare il valore nutrizionale della dieta.
La seconda testimonianza riguarda un articolo pubblicato su “Mangimi e Alimenti” dove parla Giuseppe Pulina, professore ordinario di Zootecnica Speciale presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Sassari; Pulina in particolare, si sofferma sui benefici e sui danni provocati dalla mancanza della carne nell’età infantile . Ecco alcuni stralci dell’articolo : "La lotta degli ideologi del veganismo non ha confini né ritegno. Nell'inserto di Salute del quotidiano La Repubblica di martedì scorso è stata pubblicata una guida per trasformare i bambini in vegetariani o, ancora peggio, in vegani. .."
Parla chiaro Giuseppe Pulina, il presidente dell'Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali (ASPA),  che aggiunge: "Le linee guida per l'alimentazione complementare dei bambini pubblicate dall'Oms raccomandano, a partire dai sei mesi di età, l'assunzione giornaliera di alimenti di origine animale. Evidenziano, inoltre, come le diete a base di vegetali non siano in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali del bambino (in particolare per gli apporti di Fe, Zn e vit. B12) a meno che non si ricorra all'impiego di integratori o prodotti fortificati". "Utilizzare integratori è come dire: sostituite la natura con prodotti di sintesi! Infatti, figli allattati al seno da madri vegane e vegetariane manifestano carenze di Vit B12 con sintomi di anemia megaloblastica, ipotonia, alterazioni al fegato e milza, anorressia, ritardi nella crescita somatica e cognitiva (Kühne et al., 1991; von Schench et l., 2007; Weiss et al., 2004, Black, 2008)"."Ma nella dieta del bambino è necessario introdurre altri nutrienti fondamentali e presenti solo nella carne e nel pesce. Ad esempio, gli acidi grassi a catena lunga DHA, EPA e arachidonico: sono fondamentali nello sviluppo celebrale, del sistema nervoso e della vista (Koletzo et al., J. Perinat. Med., 2008). La loro carenza (sia diretta che attraverso il latte delle madri vegetariane o vegane) provoca ritardi cognitivi". "Numerosi studi nei Paesi in via di sviluppo hanno dimostrato che il limitato consumo di proteine animali è la principale causa dei ritardi nell'accrescimento lineare e psico-motorio dei bambini, soprattutto nel primo anno di vita (vedi revirew di Neumann et al., 2003, American Society for NutritionalSciences)".
"Una recentissima rassegna (Van Winckel et al., Europ. J Ped., 2011), da cui probabilmente origina l'articolo su La Repubblica, si rivolge ai pediatri mettendoli in guardia sulle diete vegetariane (quelle ovo-latto-vegetariane) e vegane che, per garantire livelli nutrizionali comparabili con quelli dei bambini onnivori, devono essere attentamente formulate e valutate (gli autori riconoscono poi, che i bambini vegani hanno ritardi nell'accrescimento)".  "Dunque cari genitori vegetariani, se volete applicare la vostra ideologia ai figli, fatelo con estrema cautela, ma senza eliminare i prodotti di origine animale quali carne e uova!".
Poi continua, spiegando che gli studi più recenti non hanno trovato alcuna associazione tra il consumo di carne ed il carcinoma mammario (Pala et al., Am J ClinNutr, 2009; Larson et al., Europena J of Cancer, 2009; Alexander et al., Nutr. Res. Rew, 2010), eccetto che per le cotolette fritte (la colpa qui è dell’olio e non della carne).  Continua, dicendo che non ci sono relazioni fra consumo di carne e cancro al colon retto (Alexander et al., Am J ClinNutr, 2009), e che l’aumento del consumo di frutta e verdura non ha un affetto nel ridurre l’incidenza del cancro (Willet, Journal of the National CancerInstitute, 2010). Inoltre, un ampio studio comparativo fra vegetariani e onnivori condotto in Inghilterra, mostra come fra i due gruppi non esistano differenze nell’incidenza del cancro alla prostata, colon-retto, mammella , anzi  le donne vegetariane hanno un significativo maggiore rischio di contrarre carcinoma alla cervice.
 E’ interessante citare un altro studio pubblicato sulla rivista scientifica PlosOne (ottobre 2012) , dal titolo “Mangiare carne può aver aiutato gli ominidi a diventare “umani” ” ( di Leonardo Debbia). Il frammento di scheletro di bambino scoperto ad Olduvai Gorge, Tanzania è il primo esempio rinvenuto, il più antico che si conosca, di anemia causata da carenza nutrizionale. Un frammento di cranio rinvenuto da un team di antropologi in Tanzania mostra che i nostri antenati si nutrivano di carne già 1,5 milioni di anni fa. Viene così gettata nuova luce sulla fisiologia umana, sullo sviluppo del cervello e il ruolo giocato dall’alimentazione nel percorso evolutivo del genere umano.“Mangiare carne è sempre stato considerato uno dei fattori che ci ha resi umani, considerando che le proteine apportate con la carne hanno contribuito all’accrescimento del nostro cervello”, sostiene Charles Musiba, professore associato di antropologia presso l’Università Denver del Colorado, che ha partecipato alla scoperta. “Il nostro studio mostra che 1,5 milioni di anni fa gli ominidi non erano carnivori occasionali, non cacciavano per semplice opportunità, ma proprio con lo scopo di procurarsi carne da mangiare”. Il frammento di cranio, delle dimensioni di due soli pollici, è stato rinvenuto nella gola di Olduvai, il famoso sito nel nord della Tanzania che per decenni ha fornito numerosi indizi sull’evoluzione degli esseri umani moderni e che è spesso indicato come “culla del genere umano”.Il reperto, piccolo ma ricco di informazioni, appartiene ad un individuo di circa due anni di età e mostra segni di iperostosi porotica associata ad anemia, condizione patologica probabilmente causata da una dieta venuta improvvisamente a mancare di carne.
Nelle popolazioni preistoriche l’iperostosi porotica è un indicatore di passaggio da una economia basata sulla caccia e la raccolta ad un’economia agricola. Molto rara nel Paleolitico e nel Mesolitico, si sviluppò notevolmente nel Neolitico, in relazione a diete meno ricche in ferro. “La presenza di anemia indotta da iperostosi porotica indica quindi che fino dal Pleistocene inferiore la carne era diventata talmente essenziale per la funzionalità organica degli ominidi che la sua scarsità, o addirittura la mancanza, portava a condizioni patologiche deleterie”, conferma lo studio. Il fossile farebbe ritenere che la dieta del bambino era certamente carente di vitamine B9 e B12, coerentemente con l’ipotesi che la carne sia stata tolta dalla dieta durante il periodo dello svezzamento, oppure, trattandosi di un bambino piccolo – poco più di un neonato – che si nutriva esclusivamente di latte materno, la carenza di dieta carnea è più probabilmente da attribuirsi al nutrimento della madre, impoverito da una sopraggiunta carenza alimentare. “Talvolta i nutrienti fondamentali venivano a mancare e probabilmente i piccoli morivano per malnutrizione”, ipotizza Musiba. Lo studio offre quindi approfondimenti sull’evoluzione generale degli ominidi, tra cui Homo sapiens.  Alcuni scienziati sostengono che siamo diventati umani quando siamo diventati creature carnivore-onnivore.
 Manuel Dominguez-Rodrigo, archeologo dell’Università Complutense di Madrid afferma che la carne ci ha resi più “umani” . Musiba sostiene che mangiare carne può aver fornito le proteine necessarie per far crescere il nostro cervello: questo sarebbe da considerarsi quindi una spinta evolutiva. “Mangiare carne è associato con lo sviluppo del cervello”, afferma. “Il cervello è un organo di grandi dimensioni e richiede un sacco di energia. Stiamo cominciando a porre maggiore attenzione sul rapporto tra l’espansione del cervello e una dieta ricca di proteine”. Gli esseri umani sono una delle poche specie sopravvissute con un cervello grande in rapporto alle dimensioni del corpo. Gli scimpanzé, i nostri parenti più stretti, mangiano poca carne  e hanno una capacità molto più piccola del cervello degli esseri umani. “Questo ci separa dai nostri lontani cugini”, sostiene Musiba.  “La domanda è allora: che cosa ha innescato il nostro consumo di carne? Era l’ambiente che cambiava? O era l’espansione dello stesso cervello a richiederlo? Al momento, non sappiamo rispondere a queste domande”.
Ultime curiosità : - Il contenuto in grasso della carne varia a seconda della specie, dell’età, della dieta e della tecnica di allevamento dell’animale da cui essa è ottenuta, nonché dal particolare taglio di carne. In linea generale si può affermare che la carne bianca (vitello, pollo, tacchino, pesce) ha un minor contenuto di grassi rispetto alla carne rossa (manzo, suino), e che la carne ottenuta da animali giovani è più magra di quella derivata dagli animali adulti.
- Anche la dieta dell’animale riveste una certa importanza: ad esempio, la carne di suino può essere magra oppure grassa, a seconda del particolare regime alimentare a cui vengono sottoposti gli animali durante il periodo di allevamento. Inoltre la carne magra contiene meno calorie rispetto a quella grassa, il che rappresenta un importante aspetto in una società dove sovrappeso ed obesità rappresentano un vero e proprio allarme sociale.
-A differenza del ferro contenuto nei vegetali, il ferro presente nella carne si trova in una forma (il cosiddetto “ferro-eme”) più facilmente assimilabile ed utilizzabile da parte dell’organismo. Da qui discende l'importanza della carne, in particolare di quella rossa, quale fonte primaria di ferro alimentare.

Carenze nutrizionali dovute alla mancanza di carne




Spesso qualche nutrizionista onnivoro sostiene che non è la carne a danneggiare la salute, ma la correlazione tra lo stile di vita irregolare e non salutare e il consumo di carne. È vero che gli onnivori i quali seguono sani stili di vita sono ugualmente soggetti a molte patologie contemporanee,mentre i vegetariani, pur non seguendo sani stili di vita, si ammalano molto di meno?
Ci sono varie teorie, alcune favorevoli altre contrarie al consumo di carne. Alcuni ritengono che la carne sia causa di cancro e quindi consigliano di non mangiarne troppa. Altri invece ritengono che essa abbia molti benefici e che, se non consumata, provochi carenze nutrizionali. Le carenze nutrizionali tipiche di un vegetariano o di un vegano sono: ferro, proteine, vitamina B12 e vitamina D. La carne è una buona fonte di ferro e una dieta vegetariana deve essere correttamente bilanciata per fornire quantità adeguate di questo minerale. Per prevenire tale carenza si può, ad esempio, aggiungere limone alle verdure o utilizzare pentole di ferro. Un altro fattore che merita considerazione è l'eventualità di perdite di sangue attraverso il ciclo mestruale; per questo motivo nelle donne si possono sviluppare carenze di ferro, difficilmente sopperibili con una dieta esclusivamente vegetariana.
Le proteine invece possono essere compensate con legumi e frutta secca oleosa. Inoltre, l'uso della soia e l'assunzione di legumi e carboidrati aumenta il valore biologico delle proteine. Gli alimenti di origine vegetale non sono in grado di fornire proteine di alta qualità. Ancora: la carne contiene tutti gli aminoacidi di cui l'organismo ha bisogno. Per quanto riguarda la carenza di vitamina B12, essa è particolarmente significativa nella dieta vegana. Le fonti di questa vitamina infatti sono solo animali. I primi sintomi di una carenza sono anemia perniciosa (caratterizzata dalla formazione di globuli rossi di dimensioni anormali), vertigini, difficoltà di concentrazione, perdita della memoria, debolezza. Grazie alle scorte di tale vitamina presenti nel nostro organismo, i sintomi della carenza compaiono non prima di due - tre anni di dieta del tutto priva. Il calcio è un minerale abbondante nei latticini ed essenziale per la formazione dello scheletro, per cui ne sono richieste quantità pari almeno ad ottocento milligrammi al giorno. I vegani invece ne assumono meno di quanto è raccomandato.
La vitamina D è fondamentale per i tessuti ossei e viene sintetizzata nel nostro corpo in presenza della luce solare. I vegani devono introdurla nella dieta tramite alimenti vegetali fortificati, per esempio latte di soia arricchito con vitamina D, mentre i vegetariani la introducono con le uova. Molte ricerche sono giunte alla conclusione che la carne deve necessariamente essere consumata. Una ricerca pubblicata sul British Journal Cancer (2009) sosteneva che una dieta vegetariana fosse un'ottima protezione contro la maggior parte delle neoplasie. Pochi giorni dopo però venne pubblicata una ricerca australiana sulle pagine dell’American Journal of Clinical Nutrition, che affermava che i vegetariani avrebbero una struttura ossea molto più fragile rispetto ai mangiatori di carne e le loro ossa sarebbero in media il cinque per cento meno dense. Va peggio ai vegani, le cui ossa sarebbero il sei per cento più deboli. La stessa ricerca mette anche in luce il fatto che un'alimentazione vegetariana rallenta l’attività cerebrale.
Come sottolineato all'inizio, vi sono anche quanti ritengono che la carne faccia male. Va però evidenziato che non tutti i tipi di carne sono nocivi: non lo è ad esempio la carne di manzo, agnello e maiale nutriti senza mangimi, oppure pollo e tacchino ruspanti e pesce biologico. Questi tipi di carne hanno dei benefici.
Benefici della carne di maiale:
-Il contenuto di mioglobina della carne di maiale è inferiore a quello
della carne di manzo, ma molto più alta rispetto alla carne bianca di
pollo.
-La carne di maiale è anche molto ricca di timina. È comunque
una carne grassa, bisogna quindi limitarne il consumo.
Benefici della carne di manzo
-La carne bovina è una buona fonte di proteine e ferro.
Si consiglia di
prediligere il consumo dei tagli più magri e di mangiarla in quantità
moderata.
Vantaggi della carne di pollo
-È molto ricca di proteine.
-Possiede moltissime di vitamine e minerali.

Tuttavia ha più colesterolo della carne di manzo. È un alimento molto versatile, che può essere utilizzato in tutti i tipi di piatti.

Oltre all'alimentazione vegetariana e vegana esiste anche la Paleo diet, cioè una dieta che prevede un grande consumo di carne. Proponiamo un esempio, quello di John Durant. Durant è un seguace della dieta paleolitica: cerca di mangiare come i nostri antenati. Mangia quasi tutti i giorni grosse porzioni di carne rossa: manzo, maiale, agnello e altri mammiferi. Su una cosa si può essere d’accordo con lui: senza carne, l’umanità non si troverebbe dov’è oggi. I biologi dell’evoluzione hanno infatti dimostrato che la caccia e il consumo di carne cotta hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo di un cervello di dimensioni maggiori. Attualmente, la carne è la più abbondante fonte di proteine in tutti i paesi ricchi, tranne il Giappone. Il consumo globale annuo di carne raggiungerà i 376 milioni di tonnellate entro il 2030. Tuttavia la maggior parte degli abitanti delle nazioni industrializzate conduce una vita molto più sedentaria rispetto ai primi uomini vissuti milioni di anni fa. Mentre i nostri antenati lavoravano duramente per procacciarsi qualunque tipo di cibo, e con tutta probabilità si confrontavano anche con la possibilità di morire di fame, molti di noi hanno facile accesso a carni fortemente caloriche in qualunque momento. Stiamo quindi consumando più carne di quanto sia salutare?
Venti anni fa, la maggior parte dei nutrizionisti avrebbe risposto di sì, specialmente nel caso di preparazioni più grasse come hamburger o costolette. Dopo tutto, il corpo umano converte direttamente i grassi saturi presenti in colesterolo nel sangue, che a sua volta conduce all’aterosclerosi, una delle principali cause di infarto miocardico e di ictus. Recentemente, tuttavia, alcuni ricercatori hanno messo in dubbio il collegamento tra carne rossa e malattie cardiovascolari, almeno nei termini drastici con cui è stato posto finora.
Un certo numero di studi ha ipotizzato che alcuni modi di trattare la carne, in particolare la conservazione con additivi chimici, o di cuocerla, sarebbero più pericolosi del suo contenuto di grassi saturi. Inoltre, i ricercatori ora sottolineano l’importanza di tenere conto dell’intera dieta per valutare quali siano le abitudini alimentari sane e quelle dannose. Per esempio, fare a meno della carne rossa e compensare con cibi come pizza, pane bianco e gelato probabilmente non gioverebbe a nessuno. In accordo con questi punti di vista più sfumati, molti nutrizionisti sono passati a posizioni più moderate. “Un approccio drastico che preveda di smettere di mangiare tutti i tipi di carne rossa potrebbe non essere un una buona idea”, spiega Dariush Mozaffarian, epidemiologo della Harvard University. “Non tutta la carne rossa è uguale. Si può scegliere”. Come scegliere, però, è oggetto di un dibattito ancora aperto. Infatti, in Scienze.it sono stati pubblicati recenti studi epistemologici che hanno dimostrato che mangiare carne non è un'abitudine alimentare che va demonizzata di per sé, poiché non tutti i tipi di carne sono ugualmente dannosi per la salute. Bisogna invece distinguere tra la carne rossa e prodotti trattati come hot dog e simili, e prendere in considerazione, oltre alla dieta, anche lo stile di vita complessivo degli individui. Le migliori prove scientifiche disponibili depongono contro un consumo eccessivo di carni trattate di carne molto cotta, ma non necessariamente contro modeste quantità di carne rossa fresca.

Il versante contro il consumo di carne






Fonti
Le fonti che sono state fondamentali per l’espressione della posizione “contro” il consumo di carne sono: www.scienzavegetariana.it  sito di SSNV (Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana) un’associazione non-profit fondata nel 2000 formata da professionisti, studiosi e ricercatori in diversi settori (Nutrizione, Medicina e settori connessi, Ecologia della nutrizione ed impatto ambientale, Giurisprudenza) dichiaratamente favorevoli alla dieta vegetariana ed alla sua diffusione naturalmente con l’obbiettività di chi è medico e la fondatezza di ricerche comprovate. Ampie parti di questa sezione sono ispirate e spesso tratte da questo sito vista la completezza ed i vari studi riportati che interessano l’argomento, abbiamo inoltre intervistato il presidente di questa associazione, la dottoressa Luciana Baroni. Un’altra importante fonte è lo studio “The China Study” di T. Colin Campbell e Thomas M. Campbell II definito da varie recensioni come uno dei più importanti ed imponenti studi sulla nutrizione condotti finora (durato ben 27 anni). Un’altra importante fonte sono  stati gli studi sull’argomento fra cui l’Oxford VegetarianStudy ed uno apparso sul JAMA (The Journal of the American MedicalAssociation) il primo per quanto riguarda l’aspetto nutrizionale, il secondo per quanto riguarda la correlazione fra carne e cancro al colon. Quindi questi sono i punti di riferimento di questa controversia per quanto riguarda la “fazione” contro il consumo di carne.
Essi ritengono che vi siano varie credenze totalmente infondate riguardo il valore nutrizionale della carne fra cui spicca quella che vede le proteine animali indispensabili o migliori rispetto a quelle di origine vegetale. Vari studi hanno contribuito nel dimostrare come le diete vegetariane e vegane siano perfettamente in grado di coprire il fabbisogno proteico di qualunque persona a condizione che gli alimenti vegetali vengano consumati nella corretta variabilità in modo da soddisfare il fabbisogno energetico. Infatti, nonostante le proteine animali siano definite “nobili” in quanto contengono tutti gli amminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni, mantenendo una dieta vegetariana o vegana correttamente bilanciata (www.vegpyramid.it) è tranquillamente possibile raggiungere il corretto quantitativo di questi ( tramite principalmente cereali e legumi). Inoltre il vantaggio di ricavare le proteine dai cibi vegetali  consiste nel soddisfare i propri bisogni alimentari evitando di introdurre colesterolo e grassi saturi, notoriamente deleteri per la salute ed inevitabilmente presenti in tutti i cibi animali. Inoltre le proteine vegetali risultano, grazie all’alto livello di glucagone, attive nella riduzione del livello di insulina che rappresenta un fattore di rischio per l’obesità. Nella ricerca The China Study vi è un facile riscontro empirico riguardo gli effetti nutrizionali del quasi nullo consumo di carne, lo studio è riferito infatti alla popolazione cinese, in particolare quella rurale, caratterizzata da un’alimentazione largamente basata su cibi di origine vegetale. Questo si ripercuote sulla nutrizione, infatti in Cina l’apporto calorico è molto più alto, a fronte di meno grassi, meno proteine, di una quantità maggiore di fibre e di ferro. Queste differenze dietetiche si ripercuotono poi sui livelli di colesterolo, di antiossidanti e sulla varietà di malattie.
Per quanto riguarda l’assunzione del ferro, altra base sulla quale comunemente si fonda il valore nutrizionale attribuito alla carne, essa è facilmente attuabile tramite legumi, cereali, cavoli, broccoli e frutta secca. Queste fonti forniscono grandi quantità di ferro in forma non-eme che però è maggiormente sensibile ai vari fattori che potrebbero influenzarne l’assorbimento rispetto al ferro in forma eme, in caso di riduzione dei livelli ematici di ferro comunque l’organismo è in grado di modificare il grado di assunzione di ferro non-eme in modo da evitare carenze. Allo stesso modo è possibile assumere la necessaria quantità di zinco tramite legumi, semi zucca, muesli e cereali integrali, e di calcio tramite cavolfiore, fagioli ecc… Questa sostituibilità vale anche per lo iodio, per i grassi Omega 3( tramite ad esempio le noci) e per tutte le vitamine, compresa la B 12 (latte di soia).
Oxford Vegetarian Study
E’ quindi ormai evidente come la carne sia sostituibile nella nostra dieta e come un’alimentazione basata su alimenti di origine vegetale e frugivora possa fornire tutto il nostro fabbisogno energetico giornaliero.A questo punto è d’obbligo presentare il secondo argomento già preannunciato che si svolge attorno la seguente domanda: La carne è nociva all’essere umano? Ebbene si, recenti studi sembrano dimostrare un  collegamento diretto fra consumo di carne e l’insorgere di malattie quali il cancro al colon-retto ed a sintomi quali coronaropatia, diabete, ipertensione ed in generale a problemi cardiovascolari e dismetabolici. Uno degli studi di maggiore importanza riguardo la relazione fra tipo di dieta e patologie conseguenti è l’Oxford VegetarianStudy. L'Oxford Vegetarian Study è uno studio a lungo termine e su scala nazionale concernente lo stato di salute di 6000 persone che non consumano carne (soprattutto vegetariani ma anche qualche consumatore di pesce) e di 5000 persone che ne consumano, usate come gruppo di controllo.Ecco qui alcuni rapporti (riportati da www.scienzavegetariana.it) che questo studio è riuscito a dimostrare:

Dieta e livelli di colesterolo
I livelli di colesterolo totale, LDL e HDL furono confrontati in ognuno dei quattro gruppi (vegani, vegetariani, consumatori di pesce e consumatori di carne) in uno studio pubblicato nel 1987. I livelli di colesterolo totale (CT) e di colesterolo-LDL (LDL-CT) risultarono entrambi significativamente inferiori nei vegani rispetto ai consumatori di carne, mentre i vegetariani e i consumatori di pesce avevano valori intermedi e tra loro simili. I livelli di colesterolo HDL (HDL-CT) erano simili in tutti i quattro gruppi. Le differenze suggerivano che l'incidenza di coronaropatia (arteriosclerosi coronarica, NdT) può essere inferiore del 24% nei vegetariani e inferiore del 57% nei vegani rispetto ai consumatori di carne. Una successiva analisi delle diete di un campione di 208 partecipanti (52 per ogni gruppo dietetico) ha mostrato che è importante il tipo più che la quantità di grassi nel determinare i livelli di colesterolo e che gli individui attenti alla propria salute selezionano attentamente i grassi nella loro alimentazione piuttosto che scegliere semplicemente una dieta ipolipidica.
Consumo di carne e appendicectomie d’urgenza
La frequenza di appendicectomie d'urgenza (appendicite acuta) fu comparata sulla base della storia di consumo di carne dei partecipanti, in uno studio apparso sulla rivista Journal of Epidemiology and Community Health. I partecipanti furono raggruppati a seconda che avessero sempre mangiato carne, mai mangiato carne o smesso di mangiarne. La percentuale di persone che riferivano di aver subito una appendicectomia d'urgenza era più alta tra i consumatori di carne (10.7%) rispetto a chi non ne ha mai consumata (7.8%) e a chi ha smesso di mangiarne (8.0%). Inoltre nel primo gruppo le operazioni furono eseguite ad un'età inferiore nel primo gruppo (età media all'intervento rispettivamente di 18.9, 26.0 e 19.6 anni). Il rapporto complessivo di appendicectomie d'urgenza adattato per età tra i partecipanti che non mangiavano carne rispetto ai carnivori era di 0.47, dato che suggerisce che il rischio dei vegetariani di doversi sottoporre a questa operazione è di circa il 50% inferiore rispetto ai non vegetariani.
Incidenza di dieta, stile di vita e caratteristiche fisiche sulla concentrazione di colesterolo
L'effetto dei fattori dietetici, fisici e dello stile di vita sui livelli di colesterolo totale e di colesterolo-HDL nei partecipanti, fu indagato in uno studio pubblicato nel Journal of Human Nutrition and Dietetics. Livelli elevati di colesterolo totale sono associati con un aumentato rischio di cardiopatie ischemica, mentre livelli elevati di colesterolo-HDL avrebbero, al contrario, un effetto protettivo. Dopo aver adattato i dati tenendo conto dell'età, si è notato che vi era una graduale diminuzione dei livelli di colesterolo totale dai consumatori di carne ai vegani, sia per i maschi che per le femmine, mentre i vegetariani avevano valori intermedi. Al contrario i livelli di colesterolo-HDL sono risultati simili in tutti i gruppi, sia per i maschi che per le femmine. Quando furono esaminati gli effetti di specifici fattori dietetici o dello stile di vita, si scoprì che il consumo di carne e latticini aumenta il colesterolo totale, mentre un alto consumo di fibre era associato con una riduzione dei livelli di colesterolo totale in entrambo i sessi. In accordo con altri studi, l'indice di massa corporea (BMI, una misura dell'obesità) e il consumo di alcool erano associati rispettivamente con una diminuzione e un aumento dei livelli di colesterolo-HDL in entrambo i sessi. Questi risultati contribuiscono a dimostrare l'effetto sulla riduzione dei livelli ematici di colesterolo da parte di una dieta vegetariana con un alto contenuto di fibre e un uso limitato di formaggio. Escludere la carne dalla dieta potrebbe comportare una riduzione del 15-25% del rischio delle patologie coronariche, con un ulteriore effetto benefico della stessa entità, se anche il formaggio viene eliminato dalla dieta.
Dieta e cardiopatia ischemica
La cardiopatia ischemica è la più comune causa di morte in Gran Bretagna e in molti altri paesi sviluppati. Una precedente analisi dei dati dello studio ha mostrato che chi non mangia carne ha un rischio inferiore del 28% di morire per cardiopatia ischemica prima degli 80 anni rispetto ai consumatori di carne, dopo aggiustamento dei dati per fumo, indice di massa corporea e classe sociale. Tuttavia rimaneva ancora da chiarire quale fattore dietetico potesse spiegare questa differenza. Pertanto in una recente analisi sono stati esaminati gli effetti di vari fattori dietetici sulla mortalità per IHD. I partecipanti sono stati raggruppati non solo secondo la dieta (carnivori, semi-vegetariani. Vegetariani/vegani) ma anche secondo il consumo di vari cibi e alcool, sulla base delle risposte ad un questionario. I partecipanti sono stati divisi anche in tre gruppi a seconda del consumo stimato di grassi totali, grassi saturi, e colesterolo derivato da animali di terra e in tre gruppi sulla base del consumo di fibre calcolato a partire dal consumo riportato di cibi ricchi di fibre. L'analisi principale è stata ristretta ai partecipanti che non avevano patologie cardiovascolari o diabete al momento del reclutamento. Di essi 392 sono morti prima degli 80 anni di età di cui 64 per IHD. Dopo aggiustamento per fumo, sesso, età e classe sociale, i vegetariani e i vegani avevano un rischio di morire di IHD inferiore del 17% rispetto ai consumatori di carne (cioè i partecipanti che mangiavano carne almeno una volta alla settimana) sebbene il risultato non fosse statisticamente significativo. Il risultato più impressionante ottenuto dall'analisi dei dati è la correlazione positiva, altamente significativa, tra il consumo di grassi animali e la mortalità per IHD, essendo essa circa tre volte maggiore tra i partecipanti appartenenti al gruppo caratterizzato dal maggior consumo di grassi animali totali, grassi animali saturi e colesterolo della dieta rispetto al gruppo con minore consumo. Anche il consumo di uova e formaggio è risultato positivamente associato con la mortalità per IHD, ma non è stato notato nessun effetto protettivo per le fibre, il pesce e l'alcool, come si sarebbe potuto prevedere dai risultati di altri studi.


Un altro studio in cui sono emerse relazioni fra consumo di carne e malattie è il già citato “The China Study” di T. Colin Campbell e Thomas M. Campbell. I due studiosi procedono dividendo le malattie presenti in Cina in “malattie dell’abbondanza” e “malattie della povertà” seguendo appunto una divisione basata sul reddito vista la totale differenza di dieta che questo comporta. La dieta cinese era, come già detto, largamente basata su alimenti vegetali, i ricercatori hanno però notato che più le persone erano abbienti, più consumavano cibi di origine animale, spesso inoltre, soprattutto vicino alle grandi città, questo tipo di alimentazione diventava un vero e proprio “status symbol”. La suddivisione delle malattie si compone quindi così:
Gruppi di Malattie
Malattie dell’Abbondanza
•             Malattia coronarica, Ictus, Ipertensione
•             Cancro della mammella, del colon, della prostata, del polmone, del sangue, del cervello (bambini)
•             Diabete
•             Osteoporosi

Malattie della Povertà
•             Polmonite, Tubercolosi polmonare
•             Malattie digestive, Ostruzioni intestinali, Ulcera peptica
•             Cancro dello stomaco e del fegato
•             Malattie infettive
•             Malattie da parassiti
•             Nefrite
•             Eclampsia, Malattie della gravidanza     
•             Reumatismo cardiaco
Come si può notare le malattie dell’abbondanza sono molto presenti anche nelle società occidentali ed il dottor Campbell quindi afferma che “È difficile enfatizzare a sufficienza l’importanza delle pratiche dietetiche e nutrizionali come causa principale delle malattie degli Americani, le contee Cinesi con uno stile di vita più ricco hanno mostrato un chiaro passaggio dalle malattie della povertà alle malattie dell’abbondanza. Ma le malattie dell’abbondanza non sono inevitabili. Una Società che si può permettere igiene, refrigerazione e cibo in abbondanza, può sconfiggere pure le malattie dell’abbondanza semplificando la propria alimentazione e mangiando più cibi come colti.”
Anche in questo studio sono presenti i legami fra consumo di carne e problemi riguardanti la concentrazione di colesterolo  “La differenza nei livelli di colesterolo nel sangue riflette in larga misura il consumo marcatamente diverso di carne rossa e bianca, uova e latticini. Questi sono i marcatori per l’introito di colesterolo, proteine animali e grassi saturi, emerge sempre più chiaramente che alti valori di colesterolo nel sangue sono il più importante fattore predittivo di malattia cardiaca, cancro e diabete”. Sono  inoltre presentati altri effetti che la dieta dell’abbondanza può provocare, ad esempio per quanto riguarda vari tipi di cancro fra cui il cancro alla mammella, cancro al colon ed alla prostata.
Per quanto riguarda il cancro alla mammella gli studiosi hanno rilevato che le morti per questa causa erano spesso associate a: elevate assunzioni di grassi con la dieta e alti livelli di colesterolo nel sangue, estrogeni ed elevati livelli di testosterone nel sangue, menarca precoce e menopausa tardiva. Per quanto riguarda il primo elemento esso è, come già spiegato in precedenza, collegato alla dieta, ma gli estrogeni? Questo studio ha trovato che l’aggiunta di quantità anche piccole di latte, carne e grassi alla dieta Cinese tradizionale basata su cibi vegetali, può far aumentare i livelli di estrogeni e altri ormoni sessuali. I ricercatori hanno pure trovato che le donne Cinesi di età compresa tra i 35 e i 60 anni di età avevano livelli di estrogeni nel sangue molto più bassi delle donne Britanniche della stessa età. Inoltre, le donne Cinesi avevano livelli molto più elevati di una proteina “buona” che si lega agli estrogeni nel sangue, rendendoli così molto meno attivi nello stimolare il cancro della mammella. Hanno inoltre trovato che le donne che mangiavano più grassi e prodotti animali avevano non solo livelli di testosterone più elevati, ma anche più alti tassi di cancro della mammella. Lo stesso si può dire dell’epoca del menarca e della menopausa infatti i ricercatori hanno trovato che il ciclo mestruale delle donne Cinesi comincia di norma a 17 anni e termina intorno ai 44. In America, invece, il ciclo mestruale comincia di norma sotto i 12 anni e termina intorno ai 48. Questo significa che le donne Cinesi hanno circa 8-10 anni in meno, rispetto alle donne Americane, di ondate ormonali associate a un maggior rischio di cancro della mammella.
La correlazione fra livello di ormoni e cancro si può riscontrare anche per quanto concerne il cancro alla prostata. Infatti la produzione di testosterone viene accelerata da un’alimentazione ricca di proteine animali, mentre un’alimentazione povera di proteine animali e di grassi, e contestualmente ricca di fibre, ne rallenta la produzione e ne accelera l’eliminazione. Inoltre i cibi vegetali, oltre a contenere certi antiossidanti e vitamine, contengono gli estrogeni delle piante, che aiutano a normalizzare il rapporto testosterone/estrogeni. È stato verificato che gli uomini la cui dieta è ricca di cibi contenenti fitoestrogeni (come fagioli di soia e piselli) sono meno a rischio di sviluppare il cancro della prostata.
In generale “The China Study” ha mostrato la relazione fra consumo di carne e cancro passando per le proteine animali infatti i villaggi con diete ricche di carne esibivano tassi di incidenza di cancro molto più elevati rispetto ai villaggi con diete povere di carne. Inoltre la carcinogenesi è apparentemente attivata da un’alimentazione ricca di proteine animali (e grassi) e disattivata da un’alimentazione ricca di proteine vegetali (e povera di grassi). Questo vale persino se il cancro è già insorto. I dati del Progetto Cina evidenziano come la dieta della maggior parte delle persone che vivono in zone rurali contiene solo 4 grammi di proteine animali, mentre l’alimentazione Occidentale ne contiene 71 grammi.


Per quanto riguarda il cancro al colon è meglio citare il più completo studio apparso su JAMA (Journal of the American MedicalAssociation) e compiuto da AnnChao, PhD; Michael J. Thun, MD, MS; Cari J. Connell, MPH; Marjorie L. McCullough, ScD; Eric J. Jacobs, PhD; W. Dana Flanders, MD, ScD; Carmen Rodriguez, MD, MPH; RashmiSinha, PhD  ed Eugenia E. Calle, PhD. Questo studio è complesso ed articolato ed aveva come obiettivo l’esaminare la relazione fra consumo di carne a breve e lungo termine ed il rischio di contrarre cancro al colon ed al retto. Il campione era composto da 148600 adulti fra i 50 ed i 74 anni residenti in 21 diversi Stati americani i quali potevano fornire dei registri sulla popolazione affetta da cancro fra il 1982 ed il 1993. La ricerca ha dimostrato infine l’esistenza di una relazione diretta fra consumo a lungo termine di carni rosse e processate e cancro al colon-retto. Come già detto la ricerca è complessa ed interessante e per questo è consigliabile leggerla ed analizzarla anche per conto proprio. (Ecco qui il link http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=200150#Abstract ).

Intervista

Ecco infine l’intervista con la dottoressa Luciana Baroni, presidente di SSNV, specialista in  Neurologia, Geriatria e Gerontologia, con master internazionale in Nutrizione e Dietetica ed esperta in alimentazione a base vegetale.

D- Cosa pensa della relazione fra evoluzione e nutrizione e come risponderebbe a chi propone elementi evolutivi a sostegno dell’onnivorismo dell’uomo?
R- La sopravvivenza di una specie è legata alla capacità di adattarsi all'ambiente in cui vive, in modo da poterne utilizzare al meglio le risorse. Il fatto che l'evoluzione umana abbia attraversato un breve periodo di onnivorismo ha pesantemente compromesso le risorse ambientali mettendo la nostra specie a rischio di estinzione. Solo l'ulteriore evoluzione verso il vegetarismo permetterà alla specie umana di sopravvivere nel proprio ambiente.

D- Come sappiamo Lei cita spesso studi epidemiologici che dimostrano come i vegetariani godano di una salute migliore rispetto agli onnivori. Conoscendo come sono metodologicamente strutturati questi studi, come risponderebbe a chi sostiene che il fatto che i vegetariani godano di una salute migliore sia un effetto unicamente legato al loro stile di vita( più sobrio e limitato negli eccessi) e non a dinamiche legate al regime alimentare e nutrizionale che conducono?
R- Chi pone queste obiezioni non ha la più pallida idea di cosa sia uno studio scientifico: non è una raccolta casuale di dati o di aneddoti, ma risponde a un disegno ben preciso, che si prefigge di analizzare alcune correlazioni tra variabili in causa, ma che deve altresì annullare l'effetto dei fattori confondenti. Pertanto gli studi più rigorosi, che sono molti, sui rapporti tra alimentazione e salute, prevedono l'aggiustamento, cioè l'eliminazione dell'effetto sui risultati stessi di variabili diverse di quelli di cui si vuole indagare la relazione. Nelle fattispecie, i risultati vengono ottenuti eliminando  l'influenza dei fattori confondenti che vengono altresì analizzati ed elaborati statisticamente.

D- Cosa pensa del livello d’informazione a cui i cittadini italiani possono attingere riguardo ai rischi inerenti il consumo della carne ed alla dieta vegetariana e vegana?
R- Il consumo di carne e la dieta vegetariana godono di una visibilità molto bassa, in quanto sono contro la logica del profitto che ormai governa e condiziona ogni nostra scelta. Solo chi dispone di mezzi di informazione più raffinati di quel che può essere una TV o una radio ha accesso a fonti di informazione su questi argomenti. E scopre un oceano di informazioni nascoste, incredibili ma vere.

D- Qual è la Sua opinione riguardo lo studio del JAMA (The Journal of the American MedicalAssociation) sui rischi del consumo di carne e le possibilità di contrazione del cancro al colon-retto? Ritiene che molte persone deciderebbero di modificare la propria dieta se fossero a conoscenza dei rischi riguardanti il consumo di carne e di pesce?
R- E' appena uscito sul Journal of CancerEpidemiology (per ora solo on-line) un paper del gruppo del prof. Fraser sull'incidenza di cancro nei vegetariani (69.120 soggetti), da cui risulta che la dieta vegan è protettiva nei confronti di tutti i tipi di cancro e nei confronti dei tumori femminili, mentre la dieta latto-ovo risulta maggiormente protettiva nei confronti dei tumori de tratto gastrointestinale.
Tuttavia non credo che la paura del cancro, e la paura delle malattie in generale, possa spostare grossi numeri verso la scelta di un'alimentazione vegetariana, ma forse mi sbaglio. Credo che la scelta sia prevalentemente una scelta nobile, compiuta quindi per motivi altruistici (ambiente-animali-fame nel mondo). Gli effetti sulla salute sono comunque un gradito by-product di queste motivazioni.

D- In generale non ritiene che in un periodo storico come il nostro, salutista e cancro-fobico, la divulgazione vegetariana dovrebbe essere incentrata maggiormente su questo tipo di sensibilizzazione (nutrizionale e preventiva)  rinunciando, almeno parzialmente, all’ormai classico riferimento alla senzietà ed alla sofferenza degli animali?
R- Molte persone che seguono motivazioni salutistiche compiono spesso scelte estreme e scarsamente condivisibili, che portano verso una dieta troppo restrittiva e quindi squilibrata. La fobia di purificare il corpo, di eliminare tossine eccetera porta a compiere delle scelte alimentari a volte disastrose. Quindi io credo che questo tipo di tendenza non faccia bene al vegetarismo, perché genererà individui che, alla ricerca estrema della salute, svilupperanno problemi di salute che rappresenteranno un pessimo esempio di dieta vegetariana squilibrata. Si può essere invece vegetariani seguendo un'alimentazione che è in grado di di fornire tutti i nutrienti necessari, cioè adeguata oltre che salutare. (vedi es. www.vegpyramid.info). Credo invece che supportare con informazioni e consigli a tutela della salute chi decide di divenire vegetariano per motivi non salutistici sia il minimo dei doveri per un professionista della salute.

D- Spesso le persone consultano il proprio medico di famiglia riguardo la propria nutrizione oppure un pediatra per quanto riguarda quella dei figli, ritiene che la preparazione di queste due tipologie di medici sia adeguata per fornire suggerimenti riguardo questo argomento? Inoltre cosa pensa della preparazione dei medici nutrizionisti o dei dietologi che le persone potrebbero incontrare personalmente o tramite mezzi di altro tipo (televisione, riviste ecc..)?
R- Non c'è una sufficiente preparazione, purtroppo, in queste figure professionali. La preparazione è affidata esclusivamente alla buona volontà e all'interesse "intellettuale-professionale" del singolo professionista. C'è ancora molto da fare in questo campo, e come Società Scientifica di Nutrizione Vegetarianaabbiamo un'attenzione e un impegno particolari verso queste problematiche.

D- Secondo la Sua esperienza la mancanza di informazione riguardo il rapporto carne-cancro è l’unica motivazione per cui le persone non cambiano la propria dieta? O vi è una riluttanza di fondo ad accettare l’idea di avere una dieta vegetariana? E, se esiste questa riluttanza, secondo Lei è da attribuirsi maggiormente all’effetto di stereotipi negativi sui vegetariani o alla paura di incorrere in deficit nutrizionali?
R- Non capisco perché insistiate solo sul cancro. Sono ben più forti i rapporti con altre gravi malattie come quelle cardiovascolari e dismetaboliche, malattie gravi perché invalidanti o mortali. Il cancro è quella meno studiata e che forse fa meno danni. La riluttanza è data semplicemente dal fatto che per muoversi in questa direzione bisogna cambiare le proprie abitudini, e che l'informazione a riguardo ha ben ottenuto lo scopo di generare incertezze e possibilismi di cavarsela comunque, qualunque cosa si mangi.

D- Cosa pensa degli studi del professor Loren Cordain sulla paleodieta?
R- No Comment. Mi spiace, non rispondo mai a questo genere di domande.

D- Il consiglio comunale di Gent (Belgio) ha deciso di introdurre una giornata senza carne nella ristorazione pubblica collettiva e nelle scuole e di offrire nelle altre giornate valide alternative vegetariane alla carne. Nelle scuole è stato istituito un programma didattico parallelo sull’argomento e nell’ufficio del Turismo distribuiscono piantine in cui sono segnalati i ristoranti che aderiscono all’iniziativa. In Italia l’idea è stata promossa per la prima volta in Alto Adige alla fine del 2010 da un insieme di 22 associazioni locali. La reazione del pubblico per entrambe queste iniziative è stata positiva. Secondo Lei quest’idea potrebbe essere applicata anche in altre città italiane?
R- Uno studio relativamente recente dimostra come un solo giorno alla settimana di dieta vegan sia maggiormente efficace, in termini di riduzione di effetto serra, di 365 all'anno da locavori. E poi c'è l'aspetto educativo, mostrare alle persone come i cibi animali non siano gli unici ad avere gusto e come sia possibile mangiare in modo splendido con ingredienti esclusivamente vegetali. Sarebbe certamente un buon inizio, ma solo l'inizio di una strada che deve portarci molto più avanti verso l'eliminazione di tutti i cibi animali dalla nostra dieta.

                 VIDEO: Documentario "A Delicate Balance"



Effetti sull'ambiente

Nella ricerca "Food, livestock production, energy, climate change, and health" pubblicata sulla rivista scientifica di ambito medico " The Lancet" nel 2007, McMichael AJ, Powles JW, Butler CD, Uauy R. affermano che la produzione industriale di carne è uno dei fattori maggiormente responsabili del riscaldamento globale. Si stima che il contributo alla produzione di gas serra derivante dalla produzione di carne sia all'incirca della stessa entità di quello riconducibile al traffico auto veicolare. La produzione di carne è inoltre associata ad un consumo elevato di acqua. Da non dimenticare l’elevato consumo di grano e altri cereali per l’allevamento di animali, un fattore importante nel rincaro dei prezzi di questi alimenti in un mondo in cui milioni di persone soffrono la fame.
Ecco qui una panoramica sulle attività del ciclo di produzione della carne e degli impatti ecologici.

Attività del ciclo di produzione della carne. 
  • -         Occupazione suolo.
  • -         Coltivazione mangimi.
  • -         Trasporto mangimi.
  • -         Allevamento animali.
  • -         Trasporto animali.
  • -         Uccisione e macellazione animali.
  • -         Imballaggio carne.
  • -         Trasporto carne.
  • -         Distribuzione merce carne.


Gli impatti ecologici che il ciclo di produzione della carne produce sono tanti:
  • -         Emissione di gas serra.
  • -         Occupazione del suolo per produzione di mangimi.
  • -         Deforestazione.
  • -         Utilizzo di fertilizzanti.
  • -         Pesticidi e antibiotici.
  • -         Inquinamento del suolo, acqua di falda, acque dolci e mari.
  • -         Spreco di acqua.
  • -         Sovra-sfruttamento delle risorse naturali.
  • -         Inquinamento atmosferico .
  • -         Selezione delle specie utilizzate che conduce alla perdita della biodiversità    zootecnica.

Il costo reale della carne è un insieme di elementi. I costi associati al ciclo di produzione della carne , i costi associati agli impatti della produzione della carne, i costi pagati dai contribuenti attraverso la P.A.C. ( Politica Agricola Comune Europea), più il costo espresso dal mercato.
Con la popolazione mondiale di 6,8 miliardi , ogni anno vengono uccisi 56 miliardi di animali secondo le statistiche della F.A.O. ( Food and Agricolture Organization). Oltre ai problemi ecologici ed economici, derivati da questo consumo di carne, ne sussiste un altro; entro il 2050 la popolazione mondiale sarà di 9 miliardi e oltre al numero elevato di persone, il consumo di carne dovrebbe crescere del 73% rispetto al 2010. L’impatto sarebbe devastante perché come abbiamo detto prima il costo della carne è la somma di più elementi che consumano le risorse naturali/ primarie del pianeta.
Uno tra i primi danno è l’occupazione del suolo e la sua erosione. L’erosione va controllata perché riduce localmente lo spessore del terreno coltivabile che contiene sostanze organiche come acqua , sali minerali e particelle più fini; nel giro di poche generazione un terreno fertile può essere avvicinato alla desertificazione. Un problema secondario o terziario deriva dalla pericolosità del materiale eroso; spesso è ricco di sostanze chimiche come ad esempio fertilizzanti e insetticidi provenienti dalle pratiche agricole. Queste sostanze tendono a distribuirsi sul terreno e a concentrarsi nei corsi d’acqua producendo inquinamento distribuito sul territorio. I pesticidi utilizzati in agricoltura contribuiscono all’inquinamento del sottosuolo e delle acque sotterranee. Anche se le falde acquifere si trovano sotto strati impermeabili di argilla, molte volte le sostanze inquinanti riescono a raggiungerle, causando un tipo di inquinamento particolarmente grave perché è irreversibile e soprattutto perché queste acque vengono utilizzate dall’uomo per usi domestici.
Lo spreco alimentare ha conseguenze non solo etiche, economiche, sociali ma anche sanitarie e ambientali, dal momento che le enormi quantità di cibo non consumato contribuiscono fortemente al riscaldamento globale e alle carenze idriche.

Per ogni kg di cibo si emettono in media 4,5 chilogrammi di CO2 : ne consegue che le 89 milioni di tonnellate di cibo sprecate in Europa producono 170 milioni di tonnellate di CO2eq l'anno. Oltre alla CO2 in quanto la decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas a effetto serra 21 volte più potente del biossido di carbonio.
Oltre alla CO2, enormi quantità d'acqua sono necessarie a produrre il cibo che mangiamo ogni giorno. In particolare, la produzione di carne necessita di una quantità di acqua maggiore rispetto ad altre produzioni vegetali. Per ottenere un chilo di mele sono necessari 820 litri, per un kg di mais 1.220 litri di acqua, per un chilo di riso 2.500 litri, per un chilo di pollo 4.300 litri, per un chilo di maiale 5.990 litri e per un chilo manzo ben 15.500 litri di acqua.
A determinare numeri così elevati sono le 3 componenti dell'utilizzo idrico individuate dal calcolo dell'impronta idrica: l'acqua piovana, l'acqua di falda e l'acqua che torna inquinata all'ambiente.Nel caso della carne, oltre al consumo diretto d'acqua per esempio per dissetare gli animali, bisogna considerare quanta acqua è servita per far crescere soia, foraggio e cereali e per il resto della filiera incluso il problema dello smaltimento dell'enorme quantità di deiezioni prodotte e i fertilizzanti e pesticidi che inquinano fortemente le risorse idriche.
L’equazione universale dell’erosione del suolo ( U.S.L.E.) è E=RKLSCP. E sta per “ quantità di terreno erosa”; R sta per “ fattore di erosività della pioggia”; K per “fattore erodibilità del suolo”:  L per “ fattore lunghezza “; S per “ fattore pendeza “; C per “ fattore coltivazione “; e in fine P che sta per “ fattore pratica colturale e/o antierosiva!”. Il fattore C  è quello ci interessa perché è il fattore definito come rapporto tra quantità annua di terreno eroso, su cui viene effettuata una specifica coltura, e la quantità annua di suolo eroso ( a parità di tutte le altre condizioni ) dallo stesso terreno su cui non viene effettuata alcuna coltura.
L’erosione iene favorita anche dalla deforestazione per creare nuovo terreno da coltivare , inoltre riduce il numero di alberi e di conseguenza la biodiversità.
Secondo i dati del 2006, della F.A.O. e altri dati del 2009 della World Watch Insitute, il ciclo di produzione genera tra il 18% e il 51% delle emissioni globali di CO2, più di quanto imputabile al settore trasporti stimato intorno al 13%.
Nel periodo tra il 1995 e il 2006 il governo U.S.A. ha sussidiato la produzione di mais con 50 miliardi di dollari. Il 42,5% del mais raccolto è utilizzabile per i mangimi, il 32,1% si trasforma in carburante per il trasporto.  La produzione del mais nel 2009 ha raggiunto l’astronomica quantità di 334 milioni di tonnellate. Nell’Unione Europea mais e soia sono i mangimi per eccellenza. Nel 2002 l’U.E. era il più grande importatore di questi due prodotti.
L’uso della carne bovina aumenterà sempre di più, secondo recenti studi ( 62), da 1.5 miliardi a 2.6 miliardi nel periodo tra il 2000 e il 2050. Questo avrà un effetto negativo derivato dal ciclo produttivo della carne; un incremento della coltivazione di mangimi con conseguente riduzione delle zone boschive e/o ampliamento della deforestazione; aumento dell’uso dell’energia con conseguente impatto sul cambiamento climatico; un accrescimento dell’inquinamento derivato dai liquami animali.


Il modello dell’allevamento intensivo è sempre più adottato. Con allevamento intensivo, chiamato anche allevamento industriale, si intende una forma di allevamento che utilizza tecniche industriali e scientifiche per ottenere la massima quantità di prodotto al minimo costo e utilizzando il minimo spazio, tipicamente con l’uso di appositi macchinari e farmaci veterinari. Questa concentrazione di animali favorisce le pandemie come ad esempio la Febbre Avviaria, la mucca pazza e la peste suina. Il costo per la prevenzione si aggirano intorno ai 100 milioni di euro per regione al mondo. In Olanda lo Stato spende circa 27 milioni di dollari all’anno per colpa dell’inquinamento e delle malattie provocate dall’allevamento intensivo. Un altro scopo dell’allevamento intensivo è quello di nutrire gli animali con un cibo che costi poco e gli faccia ingrassare, però questo ha delle conseguenze. Nel 2011 in Germania, il governo ha dovuto ordinare la chiusura temporanea di oltre 4.700 allevamenti di suini e pollame a causa di un’elevata contaminazione da diossine fino a 10 volte i limiti consentiti, di carne ed uova distribuii in Olanda e Gran Bretagna. L’avvelenamento sarebbe stato causato dalla miscelazione di oli industriali e vegetali per la preparazione dei mangimi utilizzati dagli allevamenti fatti chiudere.
Il programma di monitoraggio, svolto dal ministero della salute nel 2010, ha rilevato che su 38.116 campioni provenienti da bovini, caprini, suini, equini e volatili in 100 casi sono state riscontrate delle irregolarità. Scomponendo questi 100 casi, 38 sono per sostanze ad effetto anabolizzante e non autorizzate, 62 sono invece per medicinali veterinari e agenti contaminanti.
Rispetto alla biodiversità un  effetto negativo riguarda l'uso di pesticidi e in generale di prodotti chimici per l'agricoltura. 

L'uso dei composti agrochimici ha alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna che alla flora; le conseguenze più rilevanti sono state: la riduzione della variabilità genetica dei sistemi viventi, i processi di eutrofizzazione delle acque dolci e di quelle marine, l'alterazione chimico-fisica e biologica dei suoli.
Le elevate concimazioni modificano profondamente i cicli degli elementi (del carbonio, dell'azoto, del fosforo, etc.) che costituiscono meccanismi delicati per il mantenimento degli equilibri biologici e chimici in un ecosistema e tra gli ecosistemi della biosfera. L'eccesso di fertilizzanti minerali favorisce una veloce metabolizzazione della sostanza organica presente nel terreno da parte dei batteri. l fenomeno è connesso con le lavorazioni profonde e con le monocolture di cereali che non riescono a ripristinare il contenuto di sostanza organica. In questo modo il terreno viene impoverito di materiale organico. Il materiale organico, che nei metodi di lavorazione agricola meno intensiva rimane sul terreno, viene decomposto dai microorganismi del suolo e convertito in un complesso di composti organici (l'humus ) essenziali per i suoli perché controllano la ritenzione e il movimento dell'acqua e dell'ossigeno contenendo le strutture del suolo stesso.

Conclusioni

Il dibattito rimane ancora aperto, visto che le prove messe in campo dalle due fazioni sono state reciprocamente contestate. Il rapporto fra la massa e la controversia rimane ancora distaccato in quanto frammentato e diviso tra fattori etici e scientifici che spesso si vanno a mescolare creando confusione. In generale, emerge una difficoltà da parte dell'individuo ad ottenere informazioni chiare e oggettive sull'argomento, per questo è consigliabile un approfondimento da parte della persona. La difficoltà e la confusione che si crea riguardo le informazioni relative alle due fazioni è data anche dalla differenza di prevalenza dell'una e dell'altra in canali comunicativi diversi. Se infatti, la posizione contro il consumo della carne sembra prevalere, per quanto riguarda quantità e reperibilità delle informazioni, sul web, la fazione opposta è più diffusa nella cultura tradizionale e popolare e in programmi più comuni appartenenti al mezzo televisivo e radiofonico. Per quanto riguarda la relazione carne-ambiente la questione sembra molto più semplice in quanto è scientificamente provato che il ciclo di produzione della carne ha un impatto devastante sull'ambiente, sia direttamente che indirettamente.